Ci sono sempre più donne in carriera.
Quante lavorano in Franchising?
Per me e per la mia società di consulenza – così come per molti manager, imprenditori e direttori commerciali – questa prima metà del 2015 è stata uno snodo importante per analizzare il proprio portfolio clienti, verificare lo stato dei progetti in corso e pianificare le strategie di sviluppo nel medio periodo. Occupandomi principalmente di consulenza nel settore franchising e retail, due sono i dati che mi sono balzati agli occhi.
Il primo: uno straordinario incremento delle start-up, ad indicare quanto il franchising possa rappresentare una straordinaria opportunità di auto-impiego. Il secondo – meno prevedibile ed, anche per questo, più interessante – un’incidenza sempre più importante nel target femminile tra i potenziali franchisee con i quali ho avuto modo (e piacere) di lavorare.
Per la serie “ogni crisi nasconde una grande opportunità”, evidentemente il periodo di grave flessione congiunturale della nostra economia ha insospettabilmente (aggiungerei finalmente!) aperto la strada ad un nutrito stuolo di imprenditrici donne.
Un sondaggio operato dal portale di riferimento “BeTheBoss.it” con il quale collaboro stabilmente ormai da diverso tempo, racconta infatti l’esperienza di 20 mila donne imprenditrici che hanno aperto un punto vendita in affiliazione, e lo fa molto bene, approfondendo i perché di una scelta, gli ostacoli, ed il successo delle iniziative. La percentuale di donne che aprono punti vendita, ovvero offrono servizi al pubblico, in affiliazione è in continua crescita, specie nell’ultimo quinquennio recessivo: sui circa 55 mila imprenditori affiliati nel 2014 in Italia la percentuale di donne è al 38%, dunque più di 20 mila donne imprenditrici, quando era inferiore di almeno dieci punti percentuali solo cinque anni prima.
Una crescita coerente con quella del comparto del franchising che occupa in Italia 186 mila commessi (oltre ai 55 mila affiliati titolari) e sta espandendosi all’estero con oltre 7 mila punti vendita legati a franchise (la “licenza”, per così dire), con un fatturato annuo vicino ai 200 milioni di euro.
Ma quali motivazioni spingono le donne verso il franchising, come entrano nel mondo dell’affiliazione e con quanto successo?
A questo proposito, un’indagine sul franchising al femminile è stata realizzata, per la prima volta, dalla fiera specializzata “Franchising Nord”, interpellando nel settembre scorso un campione di 500 donne (e 500 maschi) tra i visitatori della fiera.
Il sondaggio mostra uno spaccato per molti versi sorprendente: le donne sembrano essere più selettive degli uomini nello scegliere il settore di affiliazione, più concrete nell’aderire alle proposte dei franchisor, più decise nell’affrontare la prima fase in cui si affrontano finanziamento e pratiche per l’apertura di un punto vendita, più fiduciose nei propri mezzi e, alla fine, più soddisfatte delle scelte compiute.
A suffragio di ciò, ecco qualche ulteriore dato. Il 35.4% delle donne è alla ricerca di un lavoro, il 31.6% proviene da un precedente lavoro indipendente, il 22.8% da un lavoro dipendente precario, il 4.4% da un lavoro dipendente fisso: un’altra decisa testimonianza dell’intraprendenza delle donne, assai ben disposte a mettersi in proprio per trovare una propria collocazione nel mondo del lavoro, ma anche disponibili a lasciare lavori precari o fissi.
Intraprendenti, ma anche più riflessive ed esigenti degli uomini: quasi tutte prima di discutere il loro progetto con un franchisor valutano le opportunità di almeno due settori merceologici (l’85.7% contro il 61.9% degli uomini). Osservando, infine, i settori merceologici preferiti dalle donne per aprire un punto vendita in affiliazione – nell’ordine: alimentari, ristorazione rapida, abbigliamento, calzature e accessori, bigiotteria, erboristeria – esse sembrerebbero avere maggior senso pratico, ritenendo il livello di investimento richiesto per avviare l’attività un criterio fondamentale per la propria decisione (è così per oltre due terzi delle donne contro un terzo degli uomini).
Tutto ciò è suffragato e confermato anche nell’ambito ristretto dalla mia attività di consulente: rivolgersi ad un professionista di settore dimostra maggiore concretezza da parte delle donne, che sembrano comprendere meglio l’utilità di farsi consigliare da un “esperto di settore”, piuttosto che dal classico “amico di famiglia”.
Infatti, mentre solo il 38% dei maschi che si sono messi in proprio dichiarano di essersi rivolti ad una società di consulenza, l’hanno fatto quasi tre quarti delle donne imprenditrici (71.4%). Rivolgersi ad un consulente è il primo passo per molte imprenditrici, mentre gli uomini sembrano preferire, come prima cosa, consultare il proprio commercialista. Prestando più attenzione nella fase di valutazione delle proprie scelte, non a caso il livello di soddisfazione delle donne, una volta entrate nel business, è maggiore: il 60% si dichiara molto soddisfatta (contro il 31.3% degli uomini) ed il 40% piuttosto soddisfatta (contro il 29% degli uomini).
Volendo parafrasare la celebre Madame De Staël, nel suo Elogio alla Donna, potremmo così dire che la natura e la società abbiano donato alle donne una grande abitudine a soffrire, e non si può negare che, anche in questi nostri giorni di crisi, esse valgono – generalmente e, molto spesso, nell’imprenditoria – più di molti uomini!
A cura di Andrea Vettore